DIFFICILE RUOLO DEL GENITORE

“Com’è andata oggi a scuola?” “Bene” “Cos’hai fatto?” “Niente”
“Com’è andata oggi a scuola?” “Bene” “Cos’hai fatto?” “Niente”
Quante volte i genitori si sentono intrappolati in questa conversazione con i propri figli?
In quelle risposte così telegrafiche spesso si nascondono le peggiori paure dei genitori, prima tra tutte quelle di essere di colpo esclusi dal mondo del figlio di cui fino a qualche tempo prima erano i sovrani indiscussi; i supereroi.
I genitori spesso temono che dietro a quel “niente” ci siano chissà quali oscuri segreti da non poter svelare ma la realtà è ben diversa. Difatti, quella è una risposta che azzittisce e crea un mondo privato di cui l’adolescente fa parte ma il genitore comincia a sentirsi escluso.
Ma cosa si nasconde dietro a questo? In realtà tutto.
Perché in quelle 6-7 ore passate a scuola non è che non sia successo niente, al contrario, proprio di tutto. Forse un genitore a sentirsi dire “di tutto” potrebbe chiedersi o chiedere “Ma come? E non hai seguito le lezioni?” oppure cominciare a fare troppe domande che potrebbero risultare agli occhi dei propri figli come invadenti.
In quelle ore è sono successe tantissime cose, perché mentre i docenti li portano in viaggio tra le diverse materie questi si innamorano, litigano, si lasciano, si innamorano di nuovo, litigano con la migliore amica che gli ha soffiato il ragazzo per poi fare pace. Insomma, succede davvero di tutto.
E come fanno i nostri giovani a raccontarcelo in quel breve momento di attenzione che gli concediamo? Perché raccontare quel “tutto” vorrebbe dire mettersi in gioco, svelare sentimenti, portare fuori argomenti che alle volte si può non voler sentire, alle volte non si ha tempo di sentire. Quante volte poniamo la domanda ai nostri ragazzi mentre li stiamo portando a casa da scuola o verso la palestra in cui svolgono attività con magari in mente di dover anche recuperare il fratello minore, un telefono che squilla e mille cose da fare? Quindi come biasimarli? I genitori stessi parlano con i propri figli? Forse alla base di questo niente c’è proprio un’incomunicabilità che non è solo generazionale, ma anche fatta purtroppo di assenze e lontananze che non ci rendiamo nemmeno conto di creare.
Se si chiede ad un ragazzo di 15 anni perché non parli con i propri genitori la risposta è semplice: “tanto non capirebbero” e nonostante i genitori di oggi per certi aspetti si sentano ancora giovani e un po’ adolescenti forse dimenticano che è proprio ciò che pensavano loro rispetto ai propri genitori.
È insito nella figura dei genitori quello di essere un po’ distanti dai propri figli che vanno si capiti e accolti, ma non per questo deve venire meno il ruolo genitoriale che imponga dei limiti. L’adolescente i limiti dice di non volerli, ma infondo li chiede perché anche questi gli servono per definirsi.
Forse li chiede indirettamente proprio in quel niente, in cui è lui a mettere il limite, a dire “da qui comincio io”.
Ma cosa può quindi fare un genitore che si trova dietro a quella porta che gli viene sbattuta in faccia? Non gli rimane che aspettare proprio dietro a quella porta che ogni tanto si apre per chiedere aiuto e sostegno. Non gli rimane infondo che sopravvivere a questa fase contorta del proprio figlio, certo che finirà. Da lì ne uscirà un adulto e molto di ciò che sarà dipenderà da quanto i genitori abbiano avuto voglia e pazienza di accogliere e sostenere ogni apertura di quella porta prima di vederne uscire una persona nuova che non è più il proprio bambino, ma un nuovo adulto pronto a creare nuovi legami nel mondo.
Anche la fata turchina avrebbe voluto tenere per sempre con sé il suo Pinocchio ma ha dovuto lasciarlo andare, farlo crescere, per farlo diventare finalmente un bambino vero.